Recensione La Donna Senza Ricordi Di Cesca Major

Recensione La Donna Senza Ricordi Di Cesca Major

Splendori miei, come state? Finalmente sono riuscita a terminare il romanzo che vi avevo segnalato qualche tempo fa. Un romanzo che vi rimarrà davvero nel cuore, e che quindi non potete assolutamente lasciarvi scappare.  Ma bando alle ciance, andiamo a scoprirlo insieme. 

La Donna Senza Ricordi

Titolo: La Donna Senza Ricordi
Titolo Originale: The Silent Hours
Autrice: Cesca Major
Editore: Tre60
Pagine: 360
Traduzione: Ilaria Katerinov
Data di uscita: 29 Marzo 2018
Prezzo ebook: 8,99 € | Link acquisto Amazon
Prezzo cartaceo: 17,50 € | Link acquisto Amazon

1952. La guerra sembra lontana, ma le sue ferite sono così profonde che non si sono ancora rimarginate. E talvolta sono invisibili, come quelle di Adeline: otto anni prima, le suore di un convento nel sud-ovest della Francia l’hanno ritrovata, ferita e sconvolta, in aperta campagna. Da allora, la donna si è chiusa in un silenzio impenetrabile. Adeline però sembra in attesa di qualcuno. Ma di chi? E perché?
1940. L’esercito tedesco occupa la Francia e ogni certezza va in frantumi. Impossibile sottrarsi alla paura, persino nel tranquillo villaggio di Oradour, nel centro del Paese: così Sébastien, allegro, ottimista e innamorato della bella Isabelle, è costretto a espatriare per sfuggire alla deportazione. Non può scappare invece Paul, il fratello di Isabelle, che viene mandato al fronte e sa che ogni giorno, per lui, può essere l’ultimo. Gli abitanti rimasti si ritrovano nel piccolo emporio del paese, la cui proprietaria, Adeline, ha un sorriso per tutti…
1952. Grazie alla determinazione di un medico che si è preso a cuore il suo caso, Adeline comincia a ricordare, a parlare. Ma capisce che, per ricominciare a vivere, deve tornare là dove tutto è successo. Dove qualcuno, forse, la aspetta ancora…

Un romanzo intenso e avvincente, ispirato a una storia vera: una donna e la sua storia nella Francia devastata dalla guerra e dall’occupazione nazista.
«Un romanzo potente. Cesca Major è un vero talento.» - The Times


autrice


Cesca Major ha lavorato in televisione e come lettrice all’università di Bristol, nel Regno Unito, dove si è laureata in Storia, la sua grande passione. La donna senza ricordi è il suo romanzo d’esordio, accolto da un grande successo internazionale.





recensione

E niente, io ho ancora i brividi per questo meraviglioso libro. Basterebbe questa frase per trasmettere la bellezza di questo romanzo. Devo essere sincera, all’inizio non capivo bene cosa stessi leggendo perché ci sono davvero tanti personaggi. Ma è stato proprio questo a rendere memorabile e indimenticabile la storia. L’autrice è stata davvero bravissima ad intrecciare le vicende di tutte queste persone. 
Negli ultimi tempi è diventata più taciturna, più guardinga.Altre di loro prendono il mio silenzio come uno sgarbo personale, acconsentono volentieri quando Marguerite le prega di lasciare a lei il compito di occuparsi di me. Noto ogni ombra, ogni nuova ruga che si forma con il passare degli anni. Ha gli stessi occhi danzanti che aveva un’altra, e a volte, quando qualcosa la diverte, il passato mi afferra il cuore e per un istante mi appare in testa l’altro volto… ma se ne va subito, già mentre Marguerite smorza la risatina coprendosi la bocca con una mano.Certe mattine, nel dormiveglia, rivedo quel volto tra le ombre della stanza; per pochi istanti prima di svegliarmi mi convinco che lei sia lì, i lunghi capelli spettinati, il naso dritto, il collo lungo, il vitino stretto.
Ma partiamo come sempre dall’inizio. Come avete potuto leggere nella trama, la protagonista principale del romanzo è una donna che vive all’interno di un convento. È grazie infatti alle suore che lei è al sicuro, in un certo senso. L’hanno trovata in un paesino, sconvolta, sola, ma soprattutto muta. Adeline infatti non parla più da quel maledettissimo giorno in cui la sua vita è cambieta per sempre. 
«Sébastien?» Mi guarda con la testa piegata di lato, il sole le fa brillare ogni ciocca di capelli.«Vorrei poter combattere con loro», inizio a dire: «Ma la gamba, non posso…» la indico, prendo fiato: «Però certe volte…» Ora guardo alle sue spalle, ammetto la verità rivolto allo spazio sopra la sua testa. «In certi momenti mi sento… sollevato.»Mi fermo di scatto, non riesco a credere di aver condiviso quel pensiero con lei, il mio pensiero più recondito e meno edificante. La guardo, aspetto che gli occhi verdi si stringano e si offuschino, che si scusi dicendo di avere un impegno, che mi pianti lì in strada con la gente che balla.Invece resta lì, allunga una mano e prende la mia.Abbasso lo sguardo, batto le palpebre, sento le sue dita che accerchiano le mie, che premono sulla pelle.«Ognuno ha la sua storia», afferma. Così semplice.Tira via la mano dopo un solo istante e se la mette sottobraccio con fare protettivo, come per impedirsi di ripetere quel gesto. Mi manca già il suo tocco, quel gesto istintivo che, per la prima volta da settimane, mi ha dato l’impressione che qualcuno mi capisse.
Dovete sapere che il romanzo è narrato secondo più punti di vista, che poi non sono nient’altro che quelli dei personaggi che interagiscono, seppur in modo diverso, tra di loro. La parte che riguarda Adeline si svolgerà nel presente, mentre quella di tutti gli altri nel passato. Per l’esattezza negli anni della seconda guerra mondiale. Avremo la parte di Tristan, un ragazzino francese che insieme alla sua famiglia scapperà da Parigi per rifugiarsi in questo piccolo paesino nel sud. Dove per la prima volta verrà apprezzato dai suoi professori. Ma conoscerà un nuovo bambino che porterà la stella di David al braccio, sarà infatti, uno degli ‘altri’. Quelli che creeranno solo problemi. 
È già sorto il sole e papà dice che presto ci fermeremo e faremo una specie di cena e cercheremo un posto per dormire. Non sono sicuro che si possa chiamare cena se non hai mangiato i pasti precedenti, ma non voglio certo sollevare questa obiezione con papà.La gente là fuori alza gli occhi e scruta il cielo. Non capisco cosa cerchino, si vede qualche rondine in lontananza ma nient’altro. No, aspetta. Dobbiamo essere finiti in un film! Laggiù c’è un aereo enorme. Ha le luci accese, due grandi cerchi luminosi. Siamo salvi! Bombarderà i nemici! Abbatterà quegli stupidi crucchi!Ma sta venendo verso di noi. Emetto un verso, papà alza lo sguardo e lo vede anche lui, e grida, e frena, e veniamo sbalzati tutti in avanti. L’aereo scende in picchiata e sorvola la nostra macchina, ma più avanti vediamo la gente che si fa da parte e l’aereo che spara loro addosso, spara sulle persone che camminano.Non ci posso credere: non sta succedendo davvero. L’aereo spara vere pallottole e la gente non ha tempo di mettersi al riparo. Hanno con sé le valigie e i bambini, non c’è stato alcun preavviso. Ecco di nuovo quel ragazzino ben pettinato, fermo al centro della strada a bocca aperta a guardare l’aereo mentre la gente gli scorre intorno: il fratellino non è più con lui. Lo perdo di vista tra la gente che corre e poi le luci dell’aereo proseguono in avanti e non lo vedo più, non capisco dove sia finito.Papà ci dice di non guardare, esce di strada e ferma la macchina sotto un albero. Dice alla mamma di restare con noi e corre ad aiutare le persone cui hanno sparato. Lo sento prendere il controllo, come quella volta che è intervenuto durante la nostra partita di hockey a scuola quando un bambino si era preso una mazza in pieno viso e tutti gridavano perché c’era tanto sangue. La mamma ripete che dobbiamo tenere giù la testa e quindi ci raggomitoliamo stretti stretti, perché non vogliamo guardare, e preghiamo, preghiamo, preghiamo che l’aereo non ritorni.Papà risale in macchina e ci riporta sulla strada. Ci fa passare sul tratto di strada in cui l’aereo ha sparato sulla gente. Ci sono ancora oggetti sparsi sull’asfalto: emetto un gemito quando le nostre ruote calpestano una bambola, un libro, una scarpa. Vedo la faccia di quel ragazzino anche se ora ho gli occhi chiusi. Chissà se ha trovato un rifugio.Penso di no.
Ho adorato le parti di Tristan, sapete? Perché scritta dalla parte di un bambino la vita a quei tempi sembrerà così tranquilla e spensierata. Si farà influenzare dal padre e dal suo professore, additando il nuovo arrivato ebreo come un problema. Come se fosse colpa della sua religione se la Francia sarà in guerra. E lo venderà. In buona fede, ma lo farà. 
Ho amato le parti in cui ci saranno Isabelle e Sébastien. Lei francese, dai capelli biondi, come se fossero sempre baciati dal sole, piena di vita, buona, allegra, colta. Insomma, la ragazza ideale. Lui invece zoppo, ebreo, benestante, che lavora in banca. Si innamoreranno. Ma dovranno lasciarsi. Perché il loro è un amore impossibile. La dolcezza del loro rapporto è una costante così semplicemente perfetta in tutto il romanzo da farti desiderare ardentemente i loro capitoli. 
«Ti ho mai parlato del giorno in cui ti abbiamo trovata?» mi chiede, girandosi all’improvviso per guardarmi in faccia.Scuoto lentamente la testa.«Lo sguardo nei tuoi occhi quando suor Bernadette ti ha portata dentro… Ti aveva vista in paese, voleva aiutarti…» Cerco di ricordare il mio arrivo qui, ma la mia mente vaga sperduta, tira fuori immagini sfocate e scene che sembrano comporre una sola lunga giornata, senza nessun episodio in evidenza.«Le altre si preoccupavano delle tue ferite», continua. «I graffi sulle gambe, lungo i fianchi. Il braccio era tutto insanguinato e il polso era rotto. Ho cercato sul tuo volto i segni del dolore, una reazione al nostro tocco, ma non c’era niente. Hai permesso loro di prenderti in braccio, di disinfettare i graffi, di tirarti e spingerti in tutte le direzioni, e per tutto il tempo non hai detto niente, e i tuoi occhi…» Suor Marguerite si interrompe. «Non ti importava.» Ormai parla in un sussurro. «Non capivo: volevo che tu gridassi, piagnucolassi, che ci chiedessi se saresti guarita. Annuivi alle loro domande ma non rispondevi. Sono passati esattamente otto anni.»Non mi sta semplicemente raccontando di quel giorno, ora lo capisco. Mi sta spiegando il motivo delle sue visite quotidiane.«Non capivo cosa potesse spingere qualcuno a rinunciare a ogni speranza. Non riuscivo a immaginare cosa potessi aver passato per ridurti in quel modo. Per la prima volta da quando vivo in questo convento, mi sono… mi sono chiesta se esistesse un dio.» Fa un passo verso di me. «Che potesse far soffrire così tanto una sola persona.»Quella pietà, quella compassione aperta e spudorata, mi fa tremare. Perché mi dice queste cose? Deve smetterla.«A volte ti viene di nuovo quello sguardo, e non riesco a raggiungerti, non posso…»Un raspo in gola, un gorgoglio mi risale nel collo.Suor Marguerite si interrompe, viene da me, mi posa le mani sulle spalle, mi costringe a guardarla. «Ti prego.»I nostri occhi si incontrano.«Per favore… per favore, parlami…»Ci provo. Ecco di nuovo quel gorgoglio. Non ci riesco, e prima di potermi decidere a scriverle un biglietto, a buttar giù qualcosa come faccio ogni tanto, mezze frasi che riflettono i buchi della mia memoria, vengo trascinata via.È quel giorno: so che lo è. Sento lo stesso curioso strattone nella pancia, l’impressione che se mi fermo troppo a lungo in questo ricordo rischio di espellere il contenuto dello stomaco. È talmente chiaro, ripetuto così spesso, quando altre cose sono appena accennate, o si rifiutano ostinatamente di rivelarsi, e non ricordo più neppure il mio cognome.
Io lettori miei, non riesco bene, forse, con queste parole a trasmettervi la bellezza di questo romanzo. Ma posso davvero assicurarvi che non è che merita, di più. E finirete anche voi per avere i brividi lungo la schiena, quando leggendo le note storiche, capirete che tutto quello che leggerete è successo davvero. Non la storia vera e propria ma tutto il contorno, tutto il mondo nel quale si baseranno gli eventi del nostro romanzo. E questo renderà tutto terribilmente veritiero. 
È una storia che rimane dentro. Sono passate più di 24 ore e ancora non riesco a togliermi la sensazione di tristezza che le storie ambientate in questo periodo riescono a trasmettere. Che altro c’è da dire? LEGGETELO.
«Valeva la pena di provarci», dice riponendo la piuma nella borsa. Piume, martelli: niente funziona mai. La mia voce non torna; appartiene a un’altra epoca. Sono un guscio vuoto, il contenuto è stato raschiato via. Le cicatrici si sono assottigliate, sono una parte di me, negli anni il mio corpo ha cercato di guarire. Ci sono voragini dentro di me, eppure respiro ancora, inspiro ed espiro.Respirare non è sempre stato così facile.
Noi lettori miei ci aggiorniamo presto. Fatemi sapere come sempre la vostra. Vi abbraccio e vi auguro una splendida giornata. 
Eleonora ❤

La mia valutazione finale è una principessa:


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